Impressioni dettate dal vento autunnale

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“Stasera riscrivo”, “Ok oggi mi metto lì a scrivere”, “Va bene, domani riordino le note e butto giù qualcosa”: questi i pensieri che si sono avvicendati, durante l’estate e questi primi mesi autunnali, per quanto riguarda il mio piccolo blog.
Pensieri, che si sono sempre risolti con un più o meno mesto “Non saprei proprio come scrivere”.
Poco male, forse: non che io abbia attraversato un blocco inventivo più o meno forte, ho un notes pieno di schizzi, appunti, impressioni e scarabocchi – sensati e non – che bisbigliavano, dalle pagine sfogliate ogni volta che li rileggevo, di essere pubblicati in qualche modo.

Non ho una grandissima autostima di me stesso o di quello che riesco a buttar giù a parole (non molta, non sempre), ma penso che certe cose vadano scritte e raccontate nella maniera adeguata, piuttosto che essere buttate giù senza cognizione di causa, senza un modo, per la gente interessata, di poter capire davvero quello che intenda, quello che provo od abbia provato, le policromatiche sfaccettature vissute in momenti perlopiù grigi, come sono stati questi ultimi mesi.
Lungi da me volermi piangere addosso o rendermi patetico nell’esporre le mie disgrazie (e di disgrazie non si parla, fortunatamente), penso solo alla consapevolezza del momentaneo tempo…piatto – sotto alcuni punti di vista – che sto attraversando: delusioni più o meno rimarginate, alcune situazioni che tardano a sbloccarsi e via discorrendo, nulla in più di ciò che la vita mette a disposizione talvolta.

Credo che, almeno per ora, tutti quei pensieri e riflessioni, rimarranno sigillati tra le pagine giallognole dei miei quaderni, in attesa che un vento fresco possa rinfrescarmi un poco le idee sul come pubblicarli.
Penso di aver già scritto, nei miei “post ammappacchionanti”, di come sia attratto, e di come io ammiri i temporali, tuoni, fulmini, il vento che porta con sé aria limpida, foglie, fantasmi dell’estate trascorsa rimasti a infestare i solitari marciapiedi del viale dietro casa.
Sono rimasto, questo pomeriggio tardi, quasi appollaiato sulla finestra di camera mia, a guardare in là, verso le nuvole plumbee che incombevano da Ovest, le foglie gialle del grande platano nel campo, contrastare con il gonfio grigiore del cielo, nell’attesa di dover richiudere tutto per non finire con la camera allagata.
Le gocce della pioggia contro i vetri e sul tetto, hanno scandito, secondo per secondo tutta la serata, l’odore della legna bruciata nella stufa di sotto è stata una compagnia gradita che ha contribuito in modo piuttosto rilevante al relax post studio.

Non mi ritengo una persona dalla quale possano nascere chissà quali idee filosofiche, esistenzialiste o altro, ma questo tempo, questa unione di più fattori per me estremamente rilassanti – e allo stesso tempo stimolanti -; la pioggia, il temporale, la legna nella stufa, la stanchezza dopo lo studio e un disco di Beethoven, sicuramente riescono a farmi trovare un attimo per fermarmi e farmi pensare.
Pensieri semplici, domande stupide, pensieri stupidi e domande difficili, accavallati ed ingarbugliati tra loro come un filo delle cuffie infilato nelle tasche di un jeans troppo stretto.

Pensieri e riflessioni sull’immediato, sul prossimo domani che vedrà la luce, sulla fine di questo autunno, di questo inverno, su come potrà mai andare a finire, per me, questo anno che ormai si sta adagiando sonnacchioso, che vive il suo tramonto sulle spalle delle colline in lontananza, spazzate ora da questo freddo vento d’autunno.

Il cobra nero e il carlino scavatore

cobraUh! quanto tempo che non scrivevo qui! Ci sono stati un sacco di contrattempi e imprevisti che hanno alimentato la poca creatività degli ultimi tempi e che mi hanno fatto desistere dal pubblicare le mie solite vaccate sparse!
Beh, mi pareva il caso di ricominciare, e di farlo nella maniera più surreale che conosca: raccontare uno dei tanti sogni (penso che i prossimi post saranno improntati soprattutto a questo, infatti) strambi che mi sono capitati nel corso di 26 lunghi anni.
Direi di iniziare dal sogno della scorsa notte, già che lo ho ancora bene (insomma…) in mente.

C’era una volta, e con “volta” intendo “ieri”, un tizio biondo, alto, con gli occhi azzurri che aveva un gatto nero. Una gatta.
Il tizio biondo, che per qualche strano motivo si trovava nella sua casa al mare di Ceriale, aveva appena trovato un altro gatto, sempre nero, il quale però era abbastanza stupido, e, nella sua felina ignoranza, un giorno chiese al suo biondo padrone: “Babbaì, ma me lo spieghi cosa vuol dire “o”?
Al che, il povero ragazzo si trovò a dover spiegare il significato della congiunzione semplice “o”, al gatto stupidotto.
Accortosi che una volpe (che in realtà era un gatto arancione) si era comodamente acciambellata su una sedia posta sul balcone, il nostro tizio decise di lasciar perdere le spiegazioni al gatto, per concentrarsi sul fare qualche bella foto alla nuova arrivata, lottando però con le dita della sua mano sinistra, che continuavano ad oscurare l’obiettivo della macchina fotografica.
Sceso al piano di sotto per andare a cercare la “volpe”, che nel frattempo era fuggita, il biondo si accorse di essere tornato alla sua casetta di Asti, in giardino, che era pieno di strane buche profonde, come delle tane di marmotta.
“Ohibò” esclamò il tizio, “E questo?” si chiese, controllando una profonda voragine proprio sotto il marciapiede del giardino.
Una grossa buca,larga almeno due metri e profonda quattro o cinque, e piena di detriti, sassi e cartacce, si era creata proprio di fronte alla porta di casa, e la “volpe” ci si era tuffata dentro per sfuggire alla sessione fotografica di cui prima.
Forse è meglio che non ci entri, perchè lì c’è il cobra nero” pensò il tizio.
Dando un’occhiata esplorativa alle altre buche, scoprì, in una di esse, un cane, uno strano incrocio tra un carlino e un bulldog, rintanato all’interno e mezzo coperto di terra e fango.“Ovvio!” esclamò il biondo, “sta andando in letargo!”.
Dopo aver scientificamente appurato del letargo del carlino, uno strano sibilo – che però era più una specie di urlo/fischio – uscì dalla voragine del cobra nero, e all’improvviso, un grosso serpente ne uscì velocemente, iniziando a strisciare e saltare per il giardino.
Curiosamente, il cobra nero, era marrone chiaro.
E non era un cobra.
Urlando e fischiando, il grande ofide, scappò attraverso le maglie della rete che delimitava il perimetro del giardino, il biondo fuggì a cercare aiuto alla casa degli zii accanto, correndo però troppo oltre sulla strada, dimenticandosi di chiedere aiuto.
Dopo 2-300 metri di troppo, il nostro eroe decise di tornare sui suoi passi, e notò proprio davanti casa, un furgoncino bianco con una scritta poco leggibile sulla fiancata (ma sono sicuro ci fosse scritto “the mistery machine” anche senza averlo letto) e due tizi, un uomo pelato in canotta blu e una donna, sulla strada, accorsi per catturare il temibile cobra nero, che ora riposava placidamente sull’inferriata del cancello del cortile.
Il tizio pelato non aspettò oltre, afferrò il cobra per la coda con un gesto atleticissimo e…si prese un bel morso sul petto da parte dell’animale, che era sì afferrato per la punta della coda, ma sicuramente molto più lungo del braccio del tizio, e decisamente più sveglio.
I due eroi riuscirono così a sistemare il pericoloso serpente dentro al loro mistery furgone, e se ne andarono,ma non prima di un “eh, e adesso devo farmi l’antidoto” del tizio, soddisfatto per il lavoro appena svolto.

Questo era il sogno di ieri (ormai l’altroieri) notte, senza senso, come tutti i miei migliori sogni, ma con un fondo di “verità”: ieri pomeriggio, non so per quale ragione, ho bazzicato parecchio su wikipedia per cercare qualche informazione su qualche serpente, non sul “cobra nero”, ma comunque penso che sia stato per quello, che il bizzarro ofide mi sia venuto a trovare nel sogno.
La cosa “inquietante” invece è stata che appena mi sono svegliato e sceso di sotto in sala, e quindi dopo pochi minuti dalla fine del sogno, ho trovato la gatta sotto a una sedia, che guardava incuriosita un piccolo biacco strisciante che aveva appena portato in casa…

Cosa (non) ho capito

domanda

Ho avuto modo di riflettere, pensare e rimuginare, nelle ultime settimane.
Elucubrazioni che non seguono un filo del tutto logico, pensieri casuali entrati con forza attraverso il vento invernale nella mia testa, fracassando il castello delle mie convinzioni, fragile e pericolosamente instabile.
A parte quelle di domenica e lunedì, sono state notte illuminanti e illuminate, dalle stelle e dalle riletture di alcune cose, da mezzi sorrisi inconsapevoli, stelle cadenti e costellazioni, tremolanti attraverso l’atmosfera come i miei occhi un po’ troppo affamati di sonno.
Forse queste ultime serate mi hanno fatto capire qualcosa, e questo qualcosa è, probabilmente, il non aver capito nulla.
Ho però capito di essere forse leggermente più rilassato, di vedere le cose con un minimo di distacco in più.
Ho però capito che certi sogni non vanno dimenticati, per assurdi che siano, che se un pensiero inizia a diventare davvero così fisso nella mente, è sicuramente qualcosa di importante.
Ho però capito di essere innamorato di un’illusione, talmente piena, e viva, che sarebbe veramente brutto arrendersi proprio ora.

Sollievi

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E’ rasserenante il riuscire a sentirsi sollevati solamente rileggendo di discorsi impacciati, girovagando qua e là in recenti ricordi che ti tengono compagnia la notte.

Forse (considerazioni random dettate dalla paranoia – parte uno)

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Forse il non trovare fiato per spiccicare una parola non è una cosa troppo negativa.
Forse è perchè la si ritiene una situazione abbastanza meritevole di farci perdere il respiro.

Breathtaking atmosphere (saluti occasionali parte due)

clouds21

Uscir di casa pieno solo d’emicrania
circondato da un vuoto fatto di tutto,
da un tutto fatto di troppo,
un troppo esageratamente piccolo
che comprime l’aria, che taglia il respiro.
Parole compresse, rarefatte da un’atmosfera
di pensieri accumulati sulle nubi dell’emozione.
Sentimenti accartocciati nel disordine di un temporale,
sguardo incerto sull’incedere del vento,
ammirazione deglutita tra voci soffocate
da un profondo “wow” non ancora respirato.

Walking through the fog

nebbia

Penso che l’uscire e farmi una camminata, anche solo per una ventina di minuti, sia un grandissimo antistress.
A meno che non piova, ovviamente.
C’è da dire che, comunque, un po’ di nebbia, nelle mie camminate, è spesso presente (non sarebbero camminate antistress 😉 ).
Non che in fondo, la cosa mi dispiaccia, d’altro canto l’annebbiamento dei pensieri è pur sempre una buona scusa per prendere una boccata d’aria e sgranchire le gambe.
Hanno poi installato quelle così comode (no, non è vero, sono scomodissime) panchine, sulla passerella pedonale sul Borbore, giusto dietro casa, quello che serve è solo un po’ di musica e la voglia di infilare le scarpe per camminare fino al ponte.
E camminare anche solo fino in fondo al viale, per rischiarare i pensieri, è un po’ come camminare attraverso la nebbia, un percorso che ti lascia isolato dal mondo, con il rumore dei passi che si confondono con la musica nelle cuffie, e la fortuna di non vedere tutto il resto attorno a me.
A volte può capitare che la passeggiata risulti semplicemente un rapido sgranchimento di gambe, a volte può risolvere tutti i problemi della giornata, della settimana, a volte può solamente suggerire semplici idee, facili intuizioni, così ovvie e scontate, piccole, che magari, senza la nebbia a tenerle isolate, sarebbero potute scappare senza lasciare traccia.
E realizzare “La trovo interessante”

In attesa di qualcosa

calendario

Giovedì sera
passato ad aspettare,
passato a ripensare
a recenti discorsi
d’idee e aspettative
e passioni e interessi,
d’insonnia di cinema
e studi futuri.
Passato a provare
una nuova divisa,
un modo diverso
di sembrar sempre uguale.
Eppure qualcosa
potrebbe accadere,
fulmini di pensieri
balenano nella testa,
come lampi di un prossimo futuro,
troppo prossimo
per far finta di non avere tempo.

Quasi un sogno

dreams

Un giorno stancante
passato a studiare.
Serata di noia,
mi avvolgo veloce
nell’infinito piumone.
Pareti di fumo
si digradano vitree
nella trasparenza della notte.
Mi seguono stelle
nella corsa tra i campi,
una gara veloce
tra fulmini e orti.
Un trillo lontano
richiama le nubi,
mi portano in groppa
sull’uscio di casa.
Riapro i miei occhi
nella solita stanza
cullato da nani
e da splendide gnome