Cenere e miele

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Un’assenza di quasi un mese, un cervello più incasinato di prima e una montagna di parole, fatti, sguardi, incontri e uscite non hanno dato alla mia testa il tempo (e, lo ammetto, forse anche un po’ la voglia) di riaprire queste pagine e lasciarmi un po’ scrivere le mie sgangheratezze emotive.
Penso che il tempo, inteso come tempo passato ad agire e fare qualcosa per se stessi, e non come una passiva attesa che le cose si costruiscano da sole, sia una tremenda arma a doppio taglio: se da un lato riesce a dare la disponibilità di restare a pensare e meditare; rilassarsi, se vogliamo, dall’altra ha la straordinaria capacità di mischiare le carte in tavola proprio come farebbero le tasche di un paio di jeans con il cavo delle cuffie di un lettore Mp3.
Si riesce ad avere una chiara visione dei fatti, un buon “piano” in mente, una buona strategia per risolvere i propri, piccoli e rumorosissimi problemi, e la settimana dopo non avere più la benché minima idea di cosa si è fatto, dopo aver pensato: “Posso farlo poi un’altra volta”.
Così, le cose successe, quelle che sarebbero (che si avrebbe voluto che fossero successe) successe, quelle che “e se?”, quelle a cui in fondo speri ancora, si mischiano ai sentimenti, a quelli buoni e quelli cattivi; a quelli “di pasta frolla” come li chiamo io, quelli che possono sembrare veri e autentici, ma che si sbriciolano in fretta, troppo in fretta.
Un’amalgama di cenere e miele, emozioni che si attraggono e si respingono troppo velocemente, e in maniera troppo sbagliata, perché ne possa uscire qualcosa di buono.
Lungi da me fare la figura del depresso arrendevole, come ho sempre ripetuto, penso di essere una delle persone più positive che conosca.
Solamente, questa emozione così strana, questi elementi così attaccati tra loro, questa miscela quantomai bizzarra, non ha un buon sapore.

Cosa (non) ho capito

domanda

Ho avuto modo di riflettere, pensare e rimuginare, nelle ultime settimane.
Elucubrazioni che non seguono un filo del tutto logico, pensieri casuali entrati con forza attraverso il vento invernale nella mia testa, fracassando il castello delle mie convinzioni, fragile e pericolosamente instabile.
A parte quelle di domenica e lunedì, sono state notte illuminanti e illuminate, dalle stelle e dalle riletture di alcune cose, da mezzi sorrisi inconsapevoli, stelle cadenti e costellazioni, tremolanti attraverso l’atmosfera come i miei occhi un po’ troppo affamati di sonno.
Forse queste ultime serate mi hanno fatto capire qualcosa, e questo qualcosa è, probabilmente, il non aver capito nulla.
Ho però capito di essere forse leggermente più rilassato, di vedere le cose con un minimo di distacco in più.
Ho però capito che certi sogni non vanno dimenticati, per assurdi che siano, che se un pensiero inizia a diventare davvero così fisso nella mente, è sicuramente qualcosa di importante.
Ho però capito di essere innamorato di un’illusione, talmente piena, e viva, che sarebbe veramente brutto arrendersi proprio ora.

Sono solo due parole

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Sono solo due parole, mannaggia a me.
Sono sette lettere, ma quanta fatica.
Non mi piacciono i giri di parole, eppure forse non riesco a farne a meno.
Le ho scritte, queste parole, ho scritto pagine e pagine, girandoci attorno come un perfetto scemo, come se fosse possibile balbettare sulla carta, lettere lunghe settimane, più o meno ispirate da pomeriggi passati in collina a fissare la città: “chissa se…” “quando?” “sarebbe ora?”.
Si, decisamente sarebbe ora, per il quando, dipenderà da quanto profondo possa trattenere il respiro prima di scoppiare.
Sono solo due parole, ma devono essere ben ingarbugliate tra le mille altre che popolano i miei pensieri.

Metodi efficaci per l’alleggerimento del cervello (Tagli parte I)

palloncini

Con un peso così incombente,
un disagio assai pressante
Ho deciso di regalarmi
una facile uscita dai problemi.
Bastava molto poco,
qualche spicciolo d’iniziativa
per capire quanto fosse facile
alleggerire la mia testa.
“Come al solito” la parola d’ordine,
e ci pensò il barbiere,
a togliere un po’ di peso
da sopra al mio cervello in corto circuito.

Convinzioni I

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Ci sto pensando troppo, sto perdendo troppo sonno, inizio a contarci davvero tanto. Comincio a pensare di esserne veramente convinto. Beh, se non altro, è una bella riscoperta di vecchie sensazioni quasi dimenticate.

Qualche pensiero notturno portato dal vento

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3 Febbraio, notte inoltrata, insonnia pressante e il vento che fa scricchiolare le tegole sopra le travi della mia mansarda. Il non dormire amalgama i pensieri, facendo ribollire nella mia testa un minestrone di idee miste comprato al discount delle paranoie.
Il termometro segna quasi 10°C, ma il vento freddo fa pensare a ben altre temperature.
Mi piace. Voglio dire, il vento mi piace: è rilassante, costante… penso che dopo i temporali sia uno dei fenomeni atmosferici che più preferisco. Ammetto però di non aver visto (ancora) un’aurora polare.
Ricordo una serata molto simile, anni fa. Forse per effetto del vento, l’aria tersa rendeva tutto più nitido, le luci dei paesi in collina tremolavano come stelle, che si sarebbero viste, non fosse stato per l’estrema vicinanza con la città. Il caratteristico odore nell’aria (neve? Forse un assaggio di primavera anticipata?) entrava in tutto il corpo e ti faceva restare sveglio a godere di quella pace silenziosa che si veniva a creare lungo il viale del cimitero.
Ero andato, quella volta come stanotte, a fare un giro verso il ponte, ricordo che allora il mio gatto Matisse mi aveva accompagnato fin in fondo alla strada, seguendomi curioso sui muretti delle case addormentate per la via.
Era stata la sera in cui avevo iniziato a scrivere il primo “blog”, la pagina legata all’allora Msn Messenger, un post simile a questo, un nulla condito da qualche folata di vento dal sapore primaverile.
Quanto tempo è passato da allora…10 anni? Forse qualcosa di meno, ma sembra un’eternità.
Non ricordo di aver avuto la testa così incasinata, allora, tanto normale non lo è mai stata, se devo essere sincero, ma sicuramente il motivo della passeggiata notturna di quella volta si limitava ad essere una pura sgranchita di gambe serale dopo una lunga giornata.
Quella di stasera, la camminata, intendo, è stata più che altro una buona scusa per rinfrescare bene le idee sui miei obiettivi futuri, su cosa voglio ora e su come ottenerlo (o almeno come cercare di farlo), una specie di esame di coscienza esente da ogni forma di religiosità, su segnali non colti o forse male interpretati, su un “conosci te stesso” che è diventato ormai un cliché troppo abusato per restare a pensarci su.
Alcune risposte a qualcuna delle mie ultime domande sono arrivate assieme alle foglie sminuzzate, spazzate in mezzo alla strada, vorticando per qualche secondo accanto all’angolo del muretto, portando con loro altre domande, come tessere di un puzzle vegetale che pretende di ricostruire l’intero viale a partire dai loro frammenti, caduti a terra e disintegratisi durante l’autunno.
Non c’è solo confusione, naturalmente: dico sempre di non essere una persona arrendevole, ma so fin troppo bene che talvolta possa lasciarmi prendere un po’ troppo la mano dallo sconforto, in una gran varietà di situazioni, l’abilità di rendere complicate cose che altrimenti non lo sarebbero scorre possente, in me.
In realtà so bene che molte di queste cose, SONO complicate, ma non so, non posso e non riesco ad accontentarmi di come le stia affrontando: SO che basterebbe poco, SO che servirebbe appena un pizzico di autostima in più, basterebbe l’idea di riuscire a mettere da parte le paure solo per un momento, fare un bel, GRAN respiro, e lasciare correre le parole, il fiato, emozioni e sentimenti.
Non so perchè io stia rivivendo un così drastico ritorno a questa sorta di timidezza mentale, dopo qualche periodo decisamente meno incasinato, ma penso che forse sia giusto così, sono un fervente sostenitore della teoria dei cicli in ogni aspetto del mondo, e probabilmente ora tocca di nuovo a me, in fondo, forse una mente troppo poco movimentata, troppo piatta, troppo uniforme, mi annoierebbe.
Dovrei solo ripensare bene a quello che vorrei, quello che dovrei dire, come dovrei comportarmi ora: non è così semplice, per me, fare quel famoso respiro per lasciare correre le parole, purtroppo capita troppo spesso che le frasi escano a metà, che la prima parte di un discorso vada a buon fine e che la seconda rimanga assieme al minestrone di cui prima, capita un vorrei ma non riesco, un potrei ma non voglio, sensi di colpa senza senso e eccessiva timidezza, eccessivi scrupoli che fanno intendere tutt’altro da quello che in realtà possa provare.
E’ una bella serata, in fondo, un poco noiosa, forse, dovrei svegliarmi fra 4 ore, passare la mattina a correre per i boschi e il pomeriggio a studiare, o meglio, a lottare contro il sonno incalzante che si manifesterà dopo pranzo.
Penso che invece andrò a Viatosto a fare un giro.
Per chi non lo sapesse, Viatosto è un’amena località su una bassa collina (Borgo, penso sia il termine corretto) poco fuori Asti: qualche casa, la chiesetta da cartolina, alberi e una strada trafficata da ciclisti e gente in tuta da jogging.
E’ tipico per gli astigiani salutisti, “fare il giro di Viatosto di corsa”, la vista sulla città e le campagne adiacenti è decisamente rilassante anche durante le fatiche del tenersi in forma.
Avevo quasi smesso di andarci, ci vanno appena 5 minuti di macchina, da casa mia, ma ultimamente avevo preso l’abitudine di fare passeggiate più in mezzo a boschi e in riva al fiume, piuttosto che lì.
Ammetto che il più delle volte, mi limito a lasciar la macchina giù in fondo, vicino all’ospedale, e andare su a piedi, godermi un po’ la vista dalla piazza della chiesa, un caffè al bar, due linee di matita sul mio notes, tanto per non lasciarlo inutilizzato, e tornare giù al parcheggio…non è forse molto, ma la trovo una cosa estremamente rilassante, lontano dall’aria grigia e pesante del centro, un piccolo angolo felice di campagna tra la collina e l’autostrada.
Si, mi piace andare là, e l’idea di quest’aria più pulita, limpida, piena di nuovo fresco, di questo odore di montagna, di cielo azzurro sconfinato, mi fa pensare che tornerò molto più spesso a sgranchirmi le gambe lungo quella stradina appena fuori città.

Sollievi

autumn

E’ rasserenante il riuscire a sentirsi sollevati solamente rileggendo di discorsi impacciati, girovagando qua e là in recenti ricordi che ti tengono compagnia la notte.

Pensieri alla finestra (la verità è che…) (secondo post ammappacchionante, ma più serio del primo)

stitch

Non ho avuto molta fantasia, di recente.
Voglio dire, l’ispirazione c’è sempre, c’è sempre stata e anzi, ammetto che forse ce n’è anche più del solito, ma riuscire a dare una sistemata a tutti i pensieri “ispirati” è tutto un altro affare.
Questo sarà un altro articolo ammappacchionante, o almeno credo. Non mi sono preparato nessuna bozza prima di mettermi a scrivere e sto improvvisando, cosa che di solito non faccio…spero solo di non dovermi dilungare troppo (è quasi ora di pranzo e detesto lasciare le cose a metà e riprenderle dopo una pausa, e si, vale anche per il cibo.).

A ben pensarci, come ho potuto notare in molti dei miei ultimi discorsi (seri e non), negli ultimi tempi ho fatto un sacco di cose che di solito invece non faccio, tante volte mi è capitato di dire “normalmente no, ma oggi…” e non riesco a decidermi se tutto ciò sia il sintomo di qualche cambiamento in corso, il normale esternarsi del mio carattere, o una nuova allucinante crisi d’identità.
La verità è che…non lo so.
Mi piace “La verità è che…”, è una di quelle frasi che calzano bene in qualsiasi discorso, da’ un tono ai pensieri e li fa sembrare molto più interessanti di quanto non siano veramente.
(Sarà anche che ultimamente ho riscoperto l’album dei Theory Of A DeadmanThe Truth is…“…).
Testa incasinata, dunque, nulla di nuovo.
Nel corso degli anni ho trovato diversi rimedi a queste situazioni: passeggiate, musica, disegno, sonno, cibo.
Non sempre però, ho voglia di passeggiare, spesso l’emicrania mi assale, tendo a perdere ogni volta le matite e…beh dovrei dare un taglio anche al cibo da stress.

Ho una finestra, in camera, o meglio, una sola dalla quale è possibile guardare fuori, è occupata da un paio di anni dal telescopio, la vista con in primo piano la fabbrica dietro casa non è un granchè, ma è sempre meglio che niente.
Mi piace, la mia finestra, ha una bella vista sulla Luna quando sorge sulla città, si vedono bene le colline, e quando la Luna non c’è, si riescono a vedere un bel po’ di stelle.
Ho iniziato a guardare dalla finestra la notte un paio di anni fa, d’estate.
Come al solito non riuscivo a dormire, ero preoccupato per tante cose, mi dispiaceva aver litigato con alcune persone, avevo molti dubbi e sospetti che si rincorrevano in testa, e aspettavo un aereo.
Non dovevo prenderlo io, l’aereo, doveva atterrare in nottata, molto lontano da qui, e sapevo già che dal momento in cui sarebbe atterrato, sarebbero cambiate tante cose.
In effetti sono cambiate, ma questa è un’altra storia.
Il punto è che ho passato le mie nottate a contare gli aerei che passavano, tra una stella cadente e l’altra, al di sopra delle nuvole.
La verità è che guardare fuori dalla mia finestra, fa emergere tante verità.

La verità è che guardare il cielo mi rilassa, e se il cielo è riuscito a rilassarmi in quell’occasione, riuscirà a rilassarmi in qualsiasi altra occasione.
La verità è che anche se non ho niente di cui preoccuparmi, mi piace aprire la finestra e guardare fuori.
E guardando fuori, vengono alla luce molti dubbi e preoccupazioni che, inconsapevolmente, avevo deciso di nascondere durante le giornate.
E la verità è che questo è un bene.
Non mi piace mettere da parte questi pensieri, queste idee, non mi piace abbandonare i miei problemi, che siano “gravi” o meno, senza aver provato minimamente a risolverli.
Credo che non piacerebbe a nessuno.
La verità è che tutto questo, comunque, non serve a risolvere i problemi, serve a riscoprirli, e a dar loro una forma più definita, serve a ricollegarli a problemi passati, a far riemergere le varie soluzioni adottate ai loro tempi.
Anche le mie passeggiate hanno questo effetto, ma la finestra è molto più comoda durante gli ahimè sempre più frequenti attacchi di pigrizia.

La verità è che sono uno che si fa prendere facilmente dallo sconforto delle cattive notizie, ma che comunque sa riprendersi quasi in fretta.
La verità è che sono uno che è di norma ottimista e allegro, che sa prendersi in giro (forse troppo) in qualunque situazione, che si prende sul serio quando fa lo scemo, e che forse dovrebbe farlo anche quando la situazione è meno “scema”.
La verità è che ora avrei un mese, o almeno qualche settimana, di pensieri accumulati da esternare, di discorsi preparati e dimenticati, di disegni da regalare ai miei fogli, di parole che dovrebbero essere portate sempre dietro con se, e che invece rimangono intrappolate nel solito, stracolmo, cassetto dei sogni.
La verità è che se il mondo non va nella direzione giusta, bisogna prendere quella sbagliata. (Nel senso buono della cosa.).
La verità è che molte di queste parole non riescono proprio a uscire al momento giusto, e la verità è che ho deciso di tornare alle origini: scriverle.
A mano, intendo. Mi è sempre piaciuto scrivere lettere, e credo che un ritorno all’inchiostro di una penna abbia un non so che di romantico.

La verità è che ho paura che passi troppo tempo, ma la verità è anche che sono ottimista, sempre e comunque, e non sprecherò la prossima prima occasione per colpa di qualche stupida paranoia rimasta troppo nascosta e non uscita completamente dalla finestra delle mie paure.
“He’s Just Not That into You” dice il titolo di uno dei pochi film romanticoni che abbia apprezzato. La verità è che non gli piaci abbastanza. La verità è che questa frase è troppo lontana dalla verità, piace. Tanto.
La verità è che non mi piace abbastanza come mi comporto (o meglio, come NON mi comporto) in molte occasioni, ma la verità è che ho ancora qualche tempo per dare una sistemata alle parole e ai pensieri, per dire “Ok, ora lo si fa. Quello che deve essere, sarà.”.

La verità è che se non avessi tanti casini per la testa, se non avessi problemi, se tutto andasse al meglio delle cose, forse il guardare dalla finestra, il fissare le stelle tutta la notte, perderebbe molto del senso che ora ha, che gli ho dato,  e la verità è che forse sarebbe un vero peccato.

Incontri a caso di gente a caso in un mondo a caso

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Succede talvolta di fare incontri bizzarri, grotteschi, gente giusta al posto sbagliato, gente sbagliata al posto giusto, per fare un po’ il filosofo direi “gente sbagliata al posto sbagliato”, ma sono convinto che sarebbe corretto dire “gente giusta al posto giusto al momento giusto”.
Si perchè DEVE accadere tutta una serie di casuali eventi, per far apprezzare al meglio questi rapidi scambi di battute con certi individui: bisogna senza dubbio incontrarli, serve l’umore giusto (o sbagliato), è necessario il giusto tempo da prendersi per gustarsi appieno tutte le sfumature che l’aura di queste persone ha da offrire al mondo e all’intelletto di chi ha la sfortuna di incontrarle.
Penso poi di essere una persona particolarmente fortunata, sfortunata, o più probabilmente vittima di un malocchio astrale di qualche tipo, per cui tendo ad avvicinarmi (in modo inconsapevole, sia chiaro) a persone di cui si può benissimo fare a meno.
Il buon Michele dice: “dovremmo spedirli tutti in un’ isola, in modo che non facciano più danni stando nella civiltà”. Nonostante questa affermazione mi trovi fondamentalmente d’accordo, devo tuttavia asserire che forse incontrare alcuni di questi individui, possa farci soffermare nel pensare che in fondo, nonostante possiamo sentirci abbattuti, non ci piacciamo e altre paranoie teenageariane (si potrà dire?) simili, c’è sicuramente chi sta messo peggio.
Potrei scrivere per giorni, elencando tutte le tipologie di persone “meritevoli” di rientrare nella categoria di “gente più fastidiosa”, a partire dai politici, gerarchie ecclesiastiche, personaggi televisivi e non, ma basta aprire una qualsiasi pagina di un qualsiasi giornale per rendersene subito conto. E’ molto più educativo, invece, descrivere gli incontri con persone molto più a portata di mano, persone che sai che prima o poi ti capiterà di incontrare, persone che prima o poi SPERI di incontrare, per le quali ti sei già preparato un sacco di discorsi allo specchio (Ehi, stai parlando con me?).

Non menzionerò i folcloristici guidatori astigiani, di cui ho già parlato tempo fa, e sui quali potrei scrivere un libro…
Posso iniziare con la simpatica signora di oggi pomeriggio, una 50ina d’anni passati per al maggior parte probabilmente a cercare di dimostrarne di meno, lampadata, capelli neri lunghi e piastrati, trucco più che abbondante, pellicciona nera coordinata con il grazioso cappellino anch’esso di pelliccia e con due piumette sfilacciate che gli svettavano sopra, gonna e stivali neri. La signora in questione era affaccendata nelle compere tra gli scaffali dell’Esselunga, nel corridoio dell’ingresso, già stretto di per se stesso, con casse e esposizioni anche nel mezzo, perciò diviso in due “corsie”. Una di queste “corsie” era già occupata dal carrello di un dipendente Esselunga, che stava sistemando pacchi di frutta sugli scaffali, l’altra, quella “libera” era occupata dal carrello della suddetta signora, completamente in mezzo. Non mi piace mettere mano alla roba degli altri, quindi ho chiesto, gentilmente “permesso?”. La signora, con molta calma, mi ha dato una prima occhiata, poi, con tono altezzoso e decisamente scocciato: “Un attimo! Non vede che sto prendendo delle cose dallo scaffale???”, senza minimamente curarsi di spostare di lato il carrello con una mano per facilitare il passaggio mio e degli altri. Ho ovviamente provveduto io a smuoverlo, provocando le ire della signora (completamente ignorate e alle quali ho risposto semplicemente “non si affanni, continui a cercare la sua roba sullo scaffale”).

I miei “preferiti” (e penso anche di altri) sono i religiosi.
Non ho detto subito “Testimoni di Geova” perchè sembrerei prevenuto su queste persone, ma per fortuna (o purtroppo) sono gli unici in cui mi sia mai imbattuto, e anzi mi stanno anche più simpatici di esponenti di altre religioni o sette ben più radicate nel mondo. Se si esclude un secco “dovreste ficcarvelo nel” a un inopportuno e oltremodo volgare e intollerante (a domanda volgare, risposta volgare)militante della Lega che mi aveva fermato qualche anno fa, a proposito dei crocefissi nelle scuole, in una giornata particolarmente no per me, gli unici “religiosi” (il leghista non era religioso, ad ogni modo, era solo un cretino) con cui ho avuto a che fare sono appunto, i Testimoni di Geova.
Tanti gli incontri, tante le risposte, da quella volta in cui, dopo aver risposto al citofono con “scendo subito”, mi sono presentato con il fucile in mano (aria compressa, scarico, stavo sparando in giardino contro un materasso e, in realtà, non avevo neanche pensato di posarlo) con un solare “buongiorno ditemi” con tanto di sorriso malefico stampato in faccia, alla volta in cui alla domanda “Dove vanno i morti?” risposi “se tornate indietro e fate 500 metri c’è il cimitero, chiedetelo al custode“, o ancora a quella in cui appena sentito il mio “Mi spiace ma sono ateo” le due candide signore risposero “ma almeno ci crede nel “padre nostro”?”.
A questi vanno aggiunti innumerevoli altri discorsi fatti di supercazzole e fraintendimenti forzati. Hanno smesso di suonare al nostro citofono.
Non ho particolari pregiudizi sui Testimoi di Geova, sono ateo e penso che chiunque sia libero di credere a quello che più gli aggrada: Babbo Natale, Sauron, Il Flying Spaghetti Monster, L’invisibile Unicorno Rosa, Dio, La Fata Turchina…quello che non sopporto è la supponenza e l’arroganza di certi esponenti di certe religioni, pronti a entrare in qualsiasi ambito della vita delle persone, a dettar leggi e a dirci di aver paura di quello che loro vogliono che abbiamo paura. Sentirmi dire da un pagliaccio in gonnella che ha scelto una vita di castità, come vivere la mia vita sessuale è come andare a lezioni di pianoforte da un granchio paralizzato al cervello. E mi fermo qua perchè potrei diventare davvero cattivo.
Ma forse la scena migliore è stata quando, per strada e in attesa di incontrarmi con la di allora fidanzata, le solite candide signore mi si avvicinano dicendomi “Buongiorno, possiamo lasciarle questi fogli? Se segue i nostri consigli e quello che è scritto, può essere felice”. “Ma io sono già felice” fu la mia risposta. Mi sarei aspettato un “Ah bene arrivederci allora”, mentre le due candide signore, indispettite, risposero “Ma come è possibile, tutti dicono che c’è la crisi, che le cose vanno male…” al che, di fretta, io: “Mi sa che i vostri fogli non servono a un granchè allora! Buona giornata!”.

I ragazzi delle comunità, o chi si spaccia per essi…
“ho fretta” è la risposta migliore, ma quando riescono ad arrivare a stringerti la mano è la fine, ti stanno addosso peggio di una fidanzata gelosa, una patella salaticcia appiccicata saldamente al suo scoglio.
“sono Paolo, hai qualcosa contro quelli che stanno in comunità?”
“ciao Paolo, vaffanculo, è la ventesima volta che mi fermi e ti ho già risposto diciannove volte che i miei soldi non te li do, non rinuncio a un caffè, non voglio vedere i tuoi disegni, guardami molto attentamente in faccia perchè se per sbaglio me lo chiedi un’altra volta nessuno riuscirà più a ricordare la tua.” Questo è quello che mi passa in mente ogniqualvolta il buon Paolo riesce ad intercettarmi fuori dalla stazione. Naturalmente ho ancora un pizzico di buon senso e devo limitarmi a rispondere “si, ho qualcosa contro di loro”, cercando di divincolarmi dalla sua stretta. “perchè?”…
“ho qualcosa contro di te. Perchè mi chiedi ancora il perchè quando ti ho dato una risposta. Non è colpa mia se sei finito in comunità, mi fa piacere che cerchi di chiudere un capitolo buio della tua vita, ma non vedo come questo possa avere a che fare con me. Avrei potuto pensarci se oggi come le altre volte non saresti stato così insistente, mi hai detto che avrei potuto rinunciare ai soldi di un caffè per darli a te. Hai perso 10 minuti a cercare di convincermi a darti 1 euro. Se al mio primo “no” avessi capito subito, a quest’ora avresti chiesto ad altre dieci persone, e forse qualcosa avresti anche guadagnato”
E’ poi stimolante per la mente quando, rispondendo con un “no” secco , ti chiedono “giornataccia? hai litigato con la ragazza?”. Ci si può sbizzarrire in tante di quelle risposte…”sono gay” “sto andando a suicidarmi” “mi hanno licenziato” “è morto il gatto”. La migliore che sono riuscito a dare è stata “no, con mio fratello” “ah! avete litigato di brutto eh?” “no, l’ho ammazzato, sto andando in questura a confessare”.

L’ultima persona di cui vorrei ancora parlare è la vecchiaccia del cimitero.
La odio con tutto il mio cuore, questa donna è al di là di ogni personificazione della vecchina simpatica e solare, è un orribile mostro occhialuto e ciccione, che probabilmente vive sulla panchina della fermata del bus davanti al cimitero di Asti.
In realtà le uniche cose che probabilmente sa dire sono: “sei davanti al cimitero devi farti il segno della croce!” o “porta rispetto ai morti, non si ascolta la musica/non si corre qui davanti!”
Non c’è molto da dire in realtà su di lei, cosa si potrebbe rispondere a una così? La cosa triste è che se appunto non le si risponde, la frase seguente è sempre “brutto maleducato porta rispetto!” (ricorda un po’ il Cartmaniano “rispetta la mia cazzo di autorità!”, ma senza tutto il carisma di Eric Cartman), percui la mia risposta è di solito una variante di “sono davanti al cimitero e lei dovrebbe farsi i fatti propri”, più o meno volgare a seconda del mio umore…

Incontrare queste persone potrà non risolvere la giornata (e anzi, potrebbe solo far aumentare il nervoso), ma come dicevo prima, se mi dovesse capitare in un momento particolarmente no, mi rallegrerebbe constatare un’altra volta, che io non sono poi così male.