Jurassic World: Un sequel (quasi) riuscito.

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Sequel: che brutta parola che è diventata.
Siamo ormai abituati ad andare a vedere le varie “parte 2” “il ritorno” “la vendetta” con le poche aspettative a cui molti di questi seguiti, soprattutto negli ultimi anni, ci hanno abituati.
Ed è esattamente con queste aspettative sotto le scarpe, che sono andato ieri sera in sala a vedere questo attesissimo JURASSIC WORLD.

Ricordo che quando ero piccolo, fremevo dalla voglia di guardare il primo Jurassic Park, era uscito nel ’93 e all’epoca avevo solo 6 anni, ricordo le lotte con i miei genitori per poter guardare il VHS che avevano comprato, e ricordo quanto ci rimanevo male tutte le volte quando mi rispondevano “no, fa troppa paura”.
Era una sconfitta bruciante, per me, allora come adesso, appassionato come ero degli antichi rettili.
E’ stato proprio per merito della mia passione per i dinosauri, se ora mi sono dato all’ornitologia.
Ancor più che dei film (del primo, soprattutto e in modo quasi assoluto), ero, e sono, un grande ammiratore dei libri di Crichton che li hanno ispirati.
“Jurassic park” e “Il mondo perduto” sono passati tra le mie dita e sotto i miei occhi in almeno tre occasioni, tra il periodo delle elementari e quello universitario: ottimi libri, ottimi spunti, ottime riflessioni e messaggi sull’avanzare delle tecnologie, sull’etica e sul progresso, che rimangono comunque attuali anche adesso.
E ovviamente c’erano i dinosauri.

I primi due film sono stati MOLTO liberamente tratti dai libri, alcuni punti stravolti, la componente “horror” è stata molto diluita nella trasposizione cinematografica, completamente stravolta la trama nel secondo film, che ho trovato solo un pretesto per portare i dinosauri in città, mentre ho trovato totalmente fuori luogo Jurassic Park 3: legami forzatissimi alla storia “principale”, sconclusionato ed un mero pretesto per completare una trilogia che non era nata per essere tale: nessun messaggio superstite dagli originali, personaggi poco carismatici nonostante la presenza di Sam Neill ancora nel ruolo di Alan Grant.
Con queste premesse, e con il cuore ancora deluso dai precedenti due sequel (ma comunque carico di eccitazione dopo aver letto interessanti discussioni riguardo alla trama che si riallaccia bene al primo capitolo), mi sono seduto sulla mia poltrona e ho provato a lasciarmi dietro i pregiudizi per un paio d’ore.

Comincio con il dire che il film è stato molto meglio di quanto mi sarei aspettato.
Gli attori funzionano, anche se le storie dei personaggi -almeno dei protagonisti!- non sono quasi per nulla approfondite.
Molto bravi Chris Pratt e Bryce Howard, I due ragazzini sono stati messi solo per condire la pellicola con quello pseudo dramma familiare che va tanto di moda, e non aggiungono molto allo svolgimento della storia.
Molto meno convincente, e relegato a villain da clichè Vincent d’Onofrio: il classico tizio militare senza scrupoli nè cuore che vuole approfittare delle nuove tecniche di ingegneria genetica per farne nuove armi biologiche da impiegare in guerra. Meh.
Omar Sy e BD Wong poco sfruttati, e penso che avrebbero potuto fare molto meglio se avessero avuto più spazi per approfondire un poco la loro presenza.
Unica pecca: la grossissima caduta di stile e morale del personaggio di Wong, il Dottor Wu (che, a dirla tutta, stando ai libri, non avrebbe dovuto trovarsi da quelle parti).
Gli effetti speciali sono convincenti ma ho trovato che troppa CGI abbia un po’ distorto l’atmosfera.
Probabilmente il film visto nella versione 3D rendeva meglio questo genere di effetti, ben fatti ma forse eccessivi, sicuramente più avanzati rispetto ai primi capitoli della saga, ma proporzionati a ciò che era nato con il primo film, una vera e propria rivoluzione per quanto riguarda il comparto degli effetti speciali (si pensi che Spielberg inizialmente voleva animare i dinosauri in stop motion), non trasmettono più quel fascino di vedere sullo schermo un vero dinosauro che non sembri un giocattolone.
Colonna sonora molto ben realizzata e inserita nella vicenda, nella quale sono stati integrati i “vecchi” pezzi di John Williams, usati nei punti giusti, che riescono a trasmettere moltissime emozioni a chi è stato ed è un fan della serie.

Sono tantissime le citazioni e i riferimenti ai film precedenti (ed in maniera preponderante al primo episodio), si fanno apprezzare e restituiscono un malinconico sorriso: l’incontro dei ragazzi con la zia nella hall del nuovo centro visite è uguale all’incontro tra Hammond e i nipoti Tim e Lex in Jurassic Park, ed avviene proprio sotto la statua commemorativa dello scomparso ideatore del parco (scomparso nel film, e nella vita reale: Sir Richard Attenborough è morto lo scorso Agosto), la “riscoperta” del vecchio centro visite, lo striscione per terra e il disegno del Velociraptor sulla vetrata della sala da pranzo, sono solo alcune delle decine di citazioni.

Molte persone si sono lamentate del fatto che nel design dei dinosauri non si sia tenuto conto delle nuove scoperte per quanto riguarda la loro biologia ed il loro aspetto, in particolar modo come sia ormai sicuro che i dromaeosauridi (la famiglia di cui fanno parte i velociraptor) fossero ricoperti di penne o piume.
Ho trovato invece giusto la scelta di aver lasciato tutto come era stato concepito all’inizio della serie: non è saggio cambiare l’aspetto dei “protagonisti” di una saga di successo come Jurassic Park, che comunque si basa apertamente sulla fantascienza, per questo: serve comunque una certa continuità: se dopo il primo “300” gli archeologi avessero scoperto che Leonida era un tipetto basso e grasso, davvero avrebbero cambiato il suo aspetto nel sequel? (Ok non ricordo se fosse presente nel sequel , ma l’idea di fondo è questa 🙂 ).
Stessa cosa dicasi per le dimensioni e l’aspetto dei dinosauri portati sulla pellicola, sempre riguardo ai “Velociraptor” (errore già presente sia negli altri film, sia nei libri) che tanto Velociraptor non sono (V. osmolskae e V. mongoliensis -le uniche due specie di Velociraptor conosciute- erano grandi quanto un cane), ma che si possono tranquillamente ritenere “licenze poetiche”.

“E’ ridicolo che Owen addestri i Velociraptor”
Un’altra critica che ho sentito tra i miei conoscenti e amici è stata questa: i dinosauri cattivi mangiauomini dei primi film che restano buoni davanti al loro “padrone”.
Perchè no, dico io.
Già nel primo Jurassic Park, Hammond spiega -un po’ frettolosamente- le basi dell’imprinting ed il fatto che per costruire un rapporto di “fiducia” (o almeno di riconoscimento), è stato presente alla nascita di tutti i dinosauri “nati” sull’isola. Solo che non si è mai presentata l’occasione di vedere Hammond e uno di quei dinosauri assieme nella stessa stanza: in questo film si fa la stessa cosa, solamente che viene mostrato non più il “prima” ma anche il “dopo”.
In secondo luogo, e non ci dovrebbe essere bisogno di dirlo, il film è comunque un film di fantascienza, ambientato in un mondo dove i dinosauri ormai non fanno neanche più scalpore, dove quel parco esiste ed è ormai aperto da anni, dove il mondo intero interagisce giornalmente con questi animali: è naturale che i progressi e gli studi etologici si siano anche sviluppati sulla conoscenza dei dinosauri e del loro comportamento.

Non ho trovato particolarmente intrigante la trama, che si riduce al solito “salva i bambini e scappa dai dinosauri”, il “nuovo” dinosauro non mi ha convinto molto (ma penso che questo sia dovuto al fatto che, come dice il più piccolo dei due ragazzini verso la fine del film: “quello non è un dinosauro”, ed essendo io un “purista”, ho fatto fatica ad accettarlo, lei e tutta la storia dell’ingegneria genetica che ha portato alla sua creazione) anche se molto ben realizzato.
Il dramma familiare che va di moda ultimamente lo ho trovato fuori luogo, così come l’aver scelto un protagonista “figo e muscoloso” (ho comunque apprezzato Chris Pratt e il suo lavoro), cosa che stona rispetto ai tre film precedenti, ma, i soldi sono soldi e ammetto che mi è mancato molto l’Alan Grant del primo film.
Non mi è piaciuto assolutamente il finale in stile “Godzilla”, davvero esagerato seppur con molti rimandi “storici” alla prima pellicola (il bengala rosso per attirare il Tirannosauro su tutti).

Quello che invece ho apprezzato tantissimo, è stato vedere, finalmente, questo fantomatico parco di cui si parlava ossessivamente in Jurassic Park: il sogno di John Hammond realizzato, i suoi discorsi sulle famiglie e sui bambini in visita aver preso finalmente forma (nonostante alla fine del primo film avesse detto di non volerlo più aprire dopo i tragici eventi, ma la ho trovata una mancanza lieve).
Triste, anche se poco approfondito, il discorso sulle multinazionali sponsorizzanti le attrazioni: i dinosauri ormai visti non più come una fantastica riscoperta piena di fascino ma solo più come oggetti di intrattenimento alla stregua di un qualsiasi zoo, tanto da lasciare la possibilità agli stessi sponsor di battezzare i nuovi animali con nomi improbabili ma che siano “fighi” (Indominus rex non si può sentire, diciamocelo).

Un concentrato di nostalgia e malinconia tra le decine di citazioni, il vecchio ed epico tema della colonna sonora inserito nelle giuste scene e la consapevolezza che tutta la magia e il mistero che circondava le creature nel primo film è ormai svanita, fa capire che ormai dobbiamo rassegnarci a tenere i bei ricordi e le emozioni vissute guardando “Jurassic park” ben strette, mentre questo sequel, comunque insperato, ci riporta alla realtà dei fatti, tristi, forse scontati e un po’ troppo “all’americana” per quanto riguarda trama e contenuti, ma comunque godibili dal punto di vista estetico e ben in continuità con gli eventi del primo capitolo.

Voto personale: 7+

Rapida presentazione di un passatempo ventennale (Lumen et Umbra)

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Torno su queste pagine di nuovo dopo una lunga pausa di “riflessione” (aka non ho avuto tempo e voglia di mettermi lì a scrivere le mie solite boiate semiserie), giusto per fare un po’ di pubblicità.
“Oh cheppalle chissenefrega” diranno i pochi lettori di queste righe.
Beh, stica…voli e io scrivo lo stesso :-).
Volevo tirare giù giusto due righe due su quello che è stato per me un bellissimo passatempo e motivo di svago, e non solo, degli ultimi anni. Degli ultimi 12 anni, mese più, mese meno.
Si chiama Lumen et Umbra, ma penso che nessuno lo chiami più così: LeU è ormai il suo vero nome, ed è quello che in termini tecnici viene chiamato un Multi User Dungeon.
Siccome in queste settimane si sta cercando di attuare un recupero decisivo delle utenze e dei giocatori, dando una seria spolverata al codice e alle meccaniche di gioco, ingrandendo e sviluppando l’intero mondo muddico, mi sembrava giusto pubblicizzare in maniera poco seria ovunque potessi.
Innanzitutto, che diavolo è un MultiUserDungeon, insomma, un mud? Un mud è questo (chiedo scusa per la bassa qualità delle immagini ma in realtà ho fatto tutto di fretta e senza pensarci troppo):

alma

Insomma, un mondo virtuale dalle infinite possibili ambientazioni (nello specifico è partito tutto come un mix di Impero Romano + Fantasy, quasi vent’anni fa, ora si è notevolmente evoluto), completamente testuale (dire “senza grafica” è riduttivo, a mio avviso.), all’interno del quale i vari personaggi dei giocatori possono raggrupparsi, esplorare, viaggiare, combattere, fare quasi ogni cosa.
Probabilmente questa cosa del “solo testo” avrà fatto storcere il naso a tante persone (e io, all’inizio, ero una di queste), non è possibile immedesimarsi nel personaggio, nel gioco, nell’ambiente, senza leggerne le descrizioni, senza “indagare” fra le righe che il mud ci restituisce, e che compongono tutto il creato del mondo di LeU.
Mondo, tralaltro, che ha una sua storia, fatta di Dei, avventure, guerre e alleanze tra le associazioni dei giocatori, Gilde e Clan, che si contendono (ammetto che ora la competizione in questo senso è un po’ calata, fisiologicamente) ogni giorno le diverse “quest” presenti sul gioco, avventure automatiche più o meno lunghe che possono premiare i partecipanti con equipaggiamenti sempre più utili nelle battaglie e nelle esplorazioni.
E’ anche possibile ripercorrere la storia del mondo cercando tra i diversi volumi presenti nella biblioteca della capitale, Alma, o nelle diverse pagine delle Gilde sul web, negli archivi delle mailing list e dei forum.
Sono state poi diverse, in passato, le occasioni per ritrovi, cene e raduni dei vari giocatori al di fuori del gioco, dalle cene in occasione del “Lucca Comics”, al “GiubiLeU” di Roma, e ad altri ritrovi più o meno seri (ma quasi sempre c’è del cibo di mezzo).
Insomma, un “gioco” che o ti piace o non ti piace, per il quale serve una grande dose di pazienza, una bella scorta di tempo e, ovviamente tanta fantasia.
Venendo più nello specifico delle meccaniche di gioco, il mondo è organizzato in “zone/aree”, a loro volta suddivise in diverse “stanze”, che compongono la vera ambientazione. Ad una analisi superficiale fatta in questo momento, risultano in totale 9465 stanze diverse.
Una “stanza” è esattamente quello che è stato riportato nella foto poco sopra, non deve essere una “stanza” nel vero senso della parola, ma può rappresentare una piazza, una via, un angolo di strada, lo studio di una villa o anche semplicemente una fossa per terra, all’interno della quale possono trovarsi oggetti, personaggi giocanti e non giocanti (i mob), passaggi segreti, serrature nascoste e altro ancora.
Ci si può spostare tra le stanze attraverso sei diversi comandi, corrispondenti ai quattro punti cardinali (N,S,W,E) e alle direzioni sopra e sotto (Up,Down).
Tutto il mud è completamente in
Italiano, le ultime aree originali in lingua Inglese sono state tradotte negli ultimi anni, rimangono in Inglese tutti i comandi per interagire con il gioco e la visualizzazione dei combattimenti, cosa che potrà sembrare difficile, per qualcuno, ma che, a mio avviso, rende le cose molto meno complicate di come sarebbero se venissero anch’esse tradotte in Italiano. (E poi è pur sempre una sorta di utile esercizio linguistico).

Girando per le varie “stanze” quindi, è possibile esplorare le città, i boschi, montagne e deserti, incontrare altri giocatori e interagire con loro, parlare e formare gruppi, scontrarsi con creature di ogni sorta, ricevere favori dagli Dei (Gli Immortali, personaggi di livello superiore che “vigilano” e gestiscono il gioco) e molto altro.

wholeu

Forse qualcuno potrà dire che si tratti di un sistema di gioco “datato”, ormai del tutto soppiantato dai moderni mmorpg (qualche anno fa, quando uscì per la prima volta World Of Warcraft, qualcuno disse “Non c’è niente da fare, WoW è LeU con la grafica”, secondo me minimizzando del tutto quelli che sono invece le migliori caratteristiche di un gioco testuale, prima fra tutti la possibilità di creare ed immaginare senza troppi input esterni, quello che viene rappresentato). Molto superficialmente si può dire che la differenza tra il mud e qualsiasi altro gioco “grafico” è la stessa differenza che esiste tra il leggere un libro e vedere un film. Molto superficialmente.
La creazione del personaggio è, comunque, simile ai diversi giochi di ruolo a sfondo fantasy che si trovano in circolazione: scelta di un nome, della razza, della classe (il “mestiere” del personaggio: guerriero, mago etc.), distribuzione di un tot di punti tra le
caratteristiche del personaggio (forza, agilità, intelligenza…).

nahaz

Creato il personaggio, dati alcuni comandi “optional” utilissimi per tenere sotto controllo tutto quello che si vede (l’abilitazione dei colori nelle descrizioni, un “prompt”; ovvero una riga che viene ripetuta ad ogni azione, contenente informazioni quali punti-vita, punti-mana ed altro, la visualizzazione automatica delle uscite delle stanze), ci si trova catapultati in mezzo alla vita di LeU, al livello 1.
Guadagnando esperienza nei combattimenti è poi possibile salire di livello, imparare nuove tecniche e “skills”, e avventurarsi assieme ad altri giocatori, in posti sempre più pericolosi ma sempre più ricchi di tesori e oggetti di valore.
Penso di aver scritto abbastanza, non so con che grado di criticità, ma penso di avere dato più o meno un’idea di quello che è LeU.
Certamente un buon passatempo se preso con le giuste dosi :-).
Questa è, per ora l’unica pagina “ufficiale” del gioco, in attesa che il sito e il forum vengano finalmente ripristinati (credo, e spero, a giorni), giusto per qualche informazione in più:
http://it.lumenetumbra.wikia.com/wiki/Lumen_et_Umbra_Wiki

Detto e scritto tutto questo, torno nel mio sarcofago ad aspettare un’ispirazione per qualche nuovo post più ispirato.

Opinione a caldo sul film “Vita di Pi”

tigre

Non è mia intenzione scrivere una recensione completa ed esauriente dell’ultimo film di Ang Lee, in tutta sincerità credo di non esserne in grado, forse mi manca quel tocco di criticità in più (e, come a molti, anche a me non piacciono troppo i critici), e forse anche un poco di esperienza cinematografica in sè.
Posso comunque sempre dare la mia personale opinione su questo film, visto ieri sera come al solito, al Cinelandia astigiano.

Ammetto di non avere letto (non ancora, almeno) l’omonimo romanzo di Yann Martel, dal quale è stato tratto il film, non sono quindi a conoscenza delle differenze della trama e della storia. Ho invece letto qualche tempo fa il racconto “Storia di Arthur Gordon Pym“, di E.A.Poe, nel quale fa la sua comparsa il primo Richard Parker letterario, seguito poi in età Vittoriana, da ahimè altri Richard Parker, questa volta reali, accomunati dal fatto di essere stati coinvolti in diversi naufragi, e di non esserne sopravvissuti.

Dal punto di vista prettamente tecnico (pur non essendo un tecnico) posso dire che la fotografia e gli effetti visivi sono molto ben curati, pur non avendo visto la versione 3D, salta subito all’occhio come molte scene (in particolare le tempeste in oceano, le inquadrature con la tigre, la scena della balena e quelle sull’isola) siano state pensate per questa tecnologia, sentendo pareri di chi ha invece visto la versione 3D, è curioso constatare che molti ne abbiano elogiato le caratteristiche (normalmente, almeno per quanto capita di sentire a me, il 3D non sta riscuotendo un gran successo). Il film, sebbene presenti anche scene non particolarmente allegre, fa mostra per tutta la sua durata, di colori molto accesi e saturi (specialmente nella prima parte), il che sembra conferirne un aspetto più “leggero” e fiabesco, mi viene da pensare a un cartoon Disney con attori (in realtà con UN attore, per quasi tutta la durata del film) veri.

Non penso stia a me riassumere l’intera trama del film, anche perché ritengo che prima di leggerne un riassunto, anche di una minima parte, sia necessario per ognuno, guardarlo almeno una volta, ma come ho scritto qualche riga più in su, mi piacerebbe dare un parere personale a “caldo”, prima di poter rivedere il film una seconda volta o più.
Forse qualcuno si sarebbe aspettato un film molto più “introspettivo”, un film per il quale sarebbe stato più facile impersonarsi e farsi trasportare dalle vicende, un film per il quale sui titoli di coda, ci si sarebbe dovuti asciugare più di una lacrima. Forse è “colpa” della poca probabilità degli eventi (che fanno si, solo da pretesto per la storia, molto più profonda, del protagonista), della marcata oniricità (ma si dice “oniricità”? :P) di molte scene, molto spettacolari, ma allo stesso tempo evanescenti, intangibili, irrazionali.
Non penso, comunque, che il film debba spiegare la vita di tutti noi, piuttosto riuscire a farci riflettere, anche solo per un poco, su quella che è la poesia della nostra Natura, dagli aspetti più “buoni” (non leggeri, buoni) :la scelta del nome del ragazzo, l’amore, il rapporto con amici e famigliari a quelli meno buoni : la situazione economica in crisi, il naufragio, il rapporto di tensione con i compagni della disavventura (sia nella “prima” versione che nella “seconda”) che porterà a risvolti drammatici. Penso che il film presenti quindi il pretesto per mostrare e fare riscoprire la vera essenza della Natura Umana, senza per questo andare a scavare nella storia personale di ogni spettatore, e “sacrificando” il giovane Pi come esempio per tutti.
Si fa spesso riferimento a “Dio”, o meglio agli “Dei”, vista la storia del protagonista, come se l’intero film potesse raccontare di una lunga ricerca spirituale, metaforizzata nel naufragio. Sarà per tutte le mie convinzioni personali, ma non mi è sembrato (ammetto però di essermi quantomeno sforzato di entrare nell’ottica più “spirituale” del film) che questa aspettativa sia stata mantenuta. Se non nei primi momenti della “pellicola” *sigh*, i riferimenti alla divinità sono inseriti sporadicamente, e, a mio avviso, con riferimenti piuttosto insipidi, rispetto a quello a cui sarebbero dovuti servire.
Questo non vuol dire che il film perda il suo valore, anzi. Sono convinto che siano presenti diverse chiavi di lettura della vicenda, che possano essere seguite sin dall’inizio (o almeno, dalla partenza della nave) e non necessariamente solo dopo gli ultimi 10 minuti di film, cercando di andare a ritroso per dire “è proprio così”.
Ho preso questo film come una grande fiaba (la trama non è complicata, e gli elementi ci sono tutti, per poterla facilmente trasformare in una favola adatta ai più piccoli), un’allegoria, una metafora sul rapporto con la Natura, sia intesa come Natura in generale, sia intesa come Natura in senso più intimo, la Natura animale, la Natura nelle sue forme di Vita e Morte (ma in fondo i naturalisti vedono Natura in ogni cosa), soprattutto la Natura Umana, curiosa e violenta allo stesso tempo (la “seconda versione” della storia spiega, in parte, questo aspetto), quella Natura, soprattutto, che ci fa star male e riflettere troppo a lungo, più per un “addio” preparato ma mai detto, che per la sofferenza fisica passata nel corso della nostra vita.